Pregiatissimi,
ho letto l’articolo “Utili e dannosi? Ecco i tremila enti nel mirino. Dalla tutela delle gondole ai consorzi di bonifica: un’enorme galassia che brucia otto miliardi l’anno”, pubblicato nell’edizione di lunedì 30 luglio del Quotidiano Nazionale e ritengo doveroso intervenire per correggere alcuni fondamentali errori, che inficiano del tutto alcuni giudizi espressi dal redattore.

1) I consorzi di bonifica non fanno parte della Pubblica Amministrazione né del settore pubblico allargato; sono invece persone giuridiche pubbliche a struttura associativa privatistica come risulta dalla legislazione nazionale, dalle leggi regionali e dall’orientamento espresso più volte dalla Corte Costituzionale. I consorzi di bonifica sono istituzioni, forte espressione di sussidiarietà attraverso una gestione fondata sull’autogoverno e sull’autonomia finanziaria. I consorzi di bonifica sono infatti amministrati, attraverso democratiche elezioni, dagli stessi consorziati, cioè i proprietari di immobili urbani ed extraurbani (agricoli), che rientrano nel comprensorio di competenza (approvato dalla Regione) e che ricevono beneficio dall’attività consorziale. Per questo pagano un annuale contributo consortile; l’ordinaria gestione dei consorzi di bonifica, quindi, non è a carico della cosiddetta “spesa pubblica”. I consorzi di bonifica operano con denaro pubblico, soltanto quando realizzano nuove opere pubbliche di bonifica e di irrigazione, che lo Stato o le Regioni ritengono di programmare ed affidare loro, affinché provvedano all’esecuzione.
2) I consorzi di bonifica rientrano tra quelle poche istituzioni (se non uniche) che sono già state oggetto di “riordino”, sulla base di principi generali sanciti con legge 28 febbraio 2008 n. 3 ed attuati con un protocollo di intesa Stato-Regioni, sottoscritto il 18 settembre 2008.
Alcune Regioni, in attuazione di tale intesa, hanno già provveduto ad emanare i relativi provvedimenti legislativi (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Calabria); in altre, i provvedimenti sono in avanzato stato di elaborazione. La riorganizzazione del settore ha comportato anche la riduzione del numero di tali enti, pur rimanendo ferma l’estensione della operatività sul territorio.
3) Si legge ancora nell’articolo: “Uno straniero che leggesse questi numeri si convincerebbe che l’Italia sia un paese tutto palude, che la bonifica della pianura pontina, durante il ventennio fascista, o quella delle valli venete negli anni cinquanta siano ancora da finire”. Evidentemente si tratta di uno straniero che non conosce il percorso evolutivo dell’azione della bonifica sul territorio del nostro Paese. La legislazione nazionale, le leggi regionali e la fondamentale intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008 confermano il percorso evolutivo dell’azione della bonifica sul territorio italiano riconoscendo che in essa oggi rientrano azioni finalizzate alla sicurezza territoriale, ambientale ed alimentare. Infatti le funzioni che i Consorzi di bonifica svolgono attraverso la gestione degli invasi, canali, impianti idrovori, scoli e sistemazioni idrauliche ed idraulico-agrarie dei terreni sono indispensabili sia per garantire all’agricoltura quella competitività richiesta dai mercati mondiali, che nel nostro Paese è assicurata soltanto dalla disponibilità di acqua garantita dagli importanti sistemi irrigui consortili; sia per la riduzione del rischio idraulico molto accentuato nel nostro Paese e per la tutela della stabilità del suolo. E’ inoltre opportuno sapere che la Bonifica di un territorio, ancorché terminata, va mantenuta e che i territori citati, così come altri (dai sedimi dell’aeroporto internazionale di Fiumicino o dell’autostrada Firenze-Mare a zone popolose di città quali ad esempio Ferrara, Padova, Cremona e Mantova) sarebbero allagati ad ogni pioggia senza la costante azione delle centinaia di idrovore, che sovrintendono alla loro sicurezza idraulica e che sono gestite dai consorzi di bonifica. Basta pensare che 2/3 della Pianura Padana è sotto il livello del mare e che l’Italia è circondata su tre lati dal mare per capire la fondamentale funzione di prevenzione del rischio idrogeologico, cui i consorzi di bonifica sono chiamati quotidianamente a sovrintendere pur in carenza di specifici finanziamenti pubblici. I consorzi di bonifica hanno competenza su circa il 60% del territorio nazionale: in particolare, tutta la pianura (circa 6 milioni di ettari) e gran parte della collina (circa 13 milioni di ettari). Tra i più importanti impianti, gestiti dai consorzi, rientrano circa 200.000 chilometri di canali, 800 idrovore, 1.300 impianti di sollevamento, 9.000 chilometri di argini, 23.000 briglie e sbarramenti per laminazione piene; tale patrimonio è mantenuto e gestito dai consorzi con oneri a carico dei privati consorziati.

Infine devo evidenziare che gli stranieri, diversamente da quanto ipotizzato nell’articolo, ben sanno qual è la realtà dei consorzi di bonifica italiani, tant’è che il nostro modello è studiato ed imitato nel mondo: dall’Europa alla Cina.
A conclusione voglio ancora sottolineare che l’utilità dei consorzi di bonifica è ribadita dalle migliaia di accordi di programma sottoscritti con enti locali in tutta Italia per la realizzazione di interventi sul territorio ed è in essere anche un protocollo d’intesa siglato fra l’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (A.N.B.I.) e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (A.N.C.I.) a testimoniare il riconoscimento del ruolo fondamentale svolto da quelli, che sono rimasti gli unici presidi permanenti a tutela del territorio.
Distinti saluti.

Massimo Gargano
Presidente A.N.B.I.