Preziose portate idriche stanno scorrendo nei fiumi piemontesi senza essere utilizzate sul territorio e quindi non rimpinguando il grande serbatoio, rappresentato dalla falda freatica: è questa la conseguenza della tecnica colturale del riso “all’asciutto”, sempre più diffusa sia nella modalità della sommersione ritardata sia in quella, che prevede solo bagnature periodiche.

Roma, 15 maggio 2020 – A lanciare l’allarme è l’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) sulla base dell’analisi elaborata dall’Associazione Irrigazione Est Sesia (A.I.E.S.)In Piemonte, la fase di sommersione delle risaie sta procedendo, infatti, in maniera ridotta, nonostante la buona disponibilità di risorsa idrica. Ciò comporta un ritardo annunciato nell’avvio del tradizionale fenomeno della risorgenza, così come evidenziano i dati di falda. Tali acque costituiscono oltre il 30% della risorsa tradizionalmente utilizzata nei territori a valle delle risaie; senza il contributo della falda saranno inevitabili riduzioni idriche significative: nonostante fiumi con buona portate e derivazioni idriche al massimo delle concessioni, si registreranno apporti idrici insufficienti nelle zone tradizionalmente servite da fontanili e colatori, già rimaste in crisi, lo scorso anno, fino a Luglio inoltrato, cioè un mese dopo la riattivazione del flusso di falda, naturale conseguenza dell’irrigazione nel comprensorio. “E’ questo l’esempio di un mal interpretato concetto di risparmio idrico, che pregiudica un equilibrio ambientale mantenuto nei secoli – commenta Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI – Le risaie, infatti, sono un reticolo di piccoli invasi, le cui acque non solo sono utilizzate più volte da un appezzamento all’altro, ma percolano nel terreno, arricchendo la falda e dando origine al tipico fenomeno dei fontanili nell’area padana.” “L’acqua – prosegue Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – là dove c’è, deve essere usata per ristorare il territorio, come dimostrano anche gli studi condotti dal Centro Studi Qualità Ambiente dell’Università di Padova. La diffusione della risorsa idrica, infatti, non solo è un fondamentale asset di produzione agricola, ma determina quel panorama ammirato nel mondo e che, oggi più che mai, deve essere preservato anche come importante fattore di attrazione turistica. Le nuove tecniche colturali in asciutta, invece, non solo stanno pregiudicando un ambiente, candidato a patrimonio Unesco, ma mettono in crisi la gestione irrigua non più diffusa nell’arco dei mesi, bensì tutta concentrata nei periodi più caldi.” Nel comprensorio novarese prosegue la tendenza all’abbassamento del livello di falda già registrata in anni recenti, anziché l’innalzamento progressivo, che si verificava tradizionalmente a partire dalla fine di Aprile a seguito della sommersione delle risaie nelle precedenti settimane. In alcune zone della Lomellina i freatimetri sono addirittura asciutti mentre, in altre aree, il livello di falda è stazionario dai primi di Febbraio e sempre al di sotto delle media del periodo 2009-2019. Per prevenire situazioni di crisi idrica, l’Autorità di Bacino del fiume Po ha confermato il livello di regolazione sperimentale del lago Maggiore a 1,35 metri sull’idrometro di Sesto Calende; tale bacino ha, però, velocità di svuotamento ben più rapida della falda freatica ed occorrerà, quindi, un significativo contributo di piogge nel mese di giugno per poter avere riserve lacustri, tali da soddisfare le esigenze delle utenze fino a metà agosto, senza ricorrere a riduzioni nelle forniture irrigue. Si ritiene invece che applicare scelte colturali, atte a favorire l’equilibrio irriguo del territorio risicolo (come incentivare la tradizionale semina “in acqua” su almeno il 50% della superficie), porterebbe ad accumulare in falda una riserva di circa 300 milioni di metri cubi d’acqua.

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