Francesco Vincenzi e Cinalberto Bertozzi, rispettivamente Presidente e Direttore del Consorzio della Bonifica Burana spiegano come siano cambiati i tempi rispetto alla bonifica delle origini nata per il risanamento di zone disabitate, paludose e prive degli elementi igienico sanitari minimi per essere abitate dall’uomo. L’attenzione all’ambiente oggi è fondamentale.

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Modena, 4 maggio 2020 – “Se la bonifica dei nostri avi è stata basilare per riscattare le terre in cui viviamo ancora oggi, è chiaro che ci troviamo a gestire esigenze molteplici e complesse, al cui centro c’è sì l’uomo, ma non solo: accanto alle attività cardine di scolo e irrigazione – che sono fondamentali per garantire la sicurezza idraulica all’uomo e il suo sostentamento grazie alle pratiche agricole -, ci sono una serie di attività della bonifica che la maggior parte della gente non conosce. Si tratta di azioni che servono a preservare il nostro territorio da un eccessivo impoverimento e che tutelano il ruolo complementare di tipo ambientale assunto dai canali di bonifica, negli anni: oggi sono corridoi ecologici ricchi di biodiversità popolati da numerose specie di flora e fauna” dichiara il Presidente Vincenzi. Dalla fine degli anni Ottanta/primi anni Novanta in nome di una crescente attenzione comune agli aspetti ambientali sia l’ex Consorzio Burana Leo-Scoltenna-Panaro che la parte in Destra Panaro Sinistra Samoggia dell’ex Reno Palata hanno dato vita a piantumazioni di fasce boscate di alberi lungo i canali: fasce lineari di impianti arborei e arbustivi dalle preziose funzioni, tra cui la protezione dagli inquinanti e dall’erosione delle sponde, l’abbattimento di CO2, nonché il fatto di costituire barriere frangivento e fonte di ombreggiamento e riparo per tante specie animali. Oggi gli arbusti e gli alberi piantati dal Burana hanno superato quota centomila creando un patrimonio paesaggistico e ambientale unico grazie anche ai finanziamenti ottenuti accedendo ai fondi di diverse Azioni dei Piani di Sviluppo Rurale nazionali e regionali. Aggiunge l’Ing. Bertozzi: “Ogni anno, conclusi i cantieri e le manutenzioni dell’inverno, arriviamo al periodo che esalta maggiormente le attività ambientali della bonifica: la primavera. Si iniziano gli sfalci attorno alle fasce boscate e tra le file delle alberature per il controllo della vegetazione erbacea. Dove possibile, ovvero in luoghi meno frequentati come in zona La Borga di Crevalcore o nell’area protetta di Manzolino, creiamo cataste di legno proveniente dalle periodiche potature selettive del verde per favorire la decomposizione di tronchi e rami, come accade naturalmente nelle foreste. Il legno, marcendo, favorisce la crescita di numerosi organismi specializzati, batteri, funghi e insetti che arricchiscono l’ecosistema e forniscono cibo per diverse specie di uccelli. Sempre per tutelare il patrimonio di biodiversità creato nel tempo attorno ai canali, negli anni scorsi una collaborazione tra l’Orto Botanico dell’Università degli Studi di Modena e il Consorzio Burana ha permesso un monitoraggio delle piante acquatiche e di sponda per il rilevamento e la conservazione delle specie minacciate e a rischio scomparsa, presenti sul comprensorio”. C’è un tema, inoltre, spesso controverso per la popolazione: l’abbattimento di piante. L’Ing. Bertozzi spiega come maturano queste scelte: “È attivo un costante monitoraggio della vegetazione critica in accordo con le amministrazioni comunali, eppure nessun abbattimento viene mai effettuato senza dettagliate valutazioni tecniche su rischio e pericolosità della pianta. Se questa crea problemi di sicurezza idraulica o di pericolosità per l’incolumità pubblica è chiaro che si è più critici. A volte, infatti ci si trova di fronte a esemplari che ostacolano il deflusso delle acque perché sono cresciute a ciglio o dentro a corsi d’acqua e possono creare allagamenti nelle zone circostanti alla prima pioggia intensa. Oppure si tratta di piante vecchie o attaccate da agenti patogeni, magari situate in zone di passaggio o abitate, che rischiano di crollare al primo vento forte, soprattutto in questi tempi di eventi estremi. Le piante sono organismi viventi, non sono eterne e nel loro ciclo di vita la vecchiaia presenta diverse criticità: gli alberi vecchi sono più pericolosi e si ammalano più facilmente, proprio come l’uomo. Ma ci sono due aspetti importanti nelle valutazioni messe in atto: si pratica un taglio selettivo mantenendo in vita le piante di maggiore pregio se sane e eliminando le piante malate, morte e/o pericolose. Per ogni esemplare tagliato (di solito specie di scarso pregio e magari alloctone come robinia, ailanto o falso indaco) i regolamenti pubblici possono prevedere la messa a dimora di una nuova pianta in zone ritenute idonee. Per gli elementi di particolare pregio e collocati in aree tutelate può essere prevista una specifica valutazione fino ad essere oggetto di ‘autorizzazione paesaggistica”. Conclude Vincenzi: “Una delle collaborazioni delle più fruttuose, in ambito di valorizzazione ambientale, è quella siglata con l’Unione dei Comuni modenesi area Nord per la tutela dell’antica selva medievale del Lovoleto, oggi denominato “Bosco della Saliceta”, tra Camposanto, San Felice, Medolla e Staggia che dopo essere stato quasi completamente disboscato negli anni successivi al 1834 oggi è oggetto di recupero e rinaturalizzazione. Proprio il forzato rallentamento delle attività umane dovute al lockdown pandemico ha rappresentato un’importante riflessione sui limiti della pressione antropica sull’ambiente. La bonifica dei nostri avi ha portato salubrità ai territori paludosi, rendendoli abitabili per l’uomo, ma oggi la visione è molto più ampia: all’uomo come membro non esclusivo di un ecosistema complesso da preservare”.