"Le bonifiche non possono più fronteggiare questa situazione da sole, c’è bisogno dell’intervento coordinato degli enti che operano sul territorio". Emilio Bertolini, presidente dell’Unione regionale delle bonifiche dell’Emilia Romagna (Urber), esprime la sua preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare. L’occasione è stato il recente convegno promosso dal Wwf, presso l’Istituto Cervi di Reggio Emilia "Consumo del territorio e degrado del paesaggio".


"L’uso del suolo – spiega Bertolini – ha fatto si che l’Emilia Romagna sia
una regione a forte rischio idraulico".
Perché?
"Per spiegare questa situazione bisogna tenere presenti tre condizioni. La
prima è il fatto che quello di pianura è un territorio artificiale, ovvero
se non fosse intervenuto l’uomo a strappare le terre dall’acqua, oggi
sarebbe una zona acquitrinosa e inutilizzabile. Ricordiamo che il 21% del
territorio della regione è sotto il livello dei corsi d’acqua".
E le altre condizioni?
"In secondo luogo, il territorio appare in questo modo perché esiste un
equilibrio tra la terra e l’acqua che le bonifiche regionali stanno cercando
di mantenere attraverso 18.500 chilometri di canali, che conducono l’acqua
verso il mare, e alle infrastrutture idrovore in grado di far fuoriuscire
dal territorio 800 metri cubi di acqua al secondo (come l’intera portata del
Po). Il terzo fattore da tenere in considerazione è che questo equilibrio è
molto fragile e ogni volta che si altera è necessario che venga ricostruito
per tutelare la sicurezza di tutti".
In questo periodo c’è stata un’alterazione dell’equilibrio?
"Sì. Negli ultimi 30 anni, nell’area montane e, soprattutto, nel crinale
abbiamo assistito a un forte avanzamento della rinaturalizzazione dovuta
all’abbandono delle attività agricole e allo spopolamento, elementi che
hanno influito negativamente sulla sicurezza idrica anche della pianura".
In che modo?
"L’acqua dalla montagna defluisce in pianura e in particolare arriva nella
zona più critica quella della via Emilia".
Perché si tratta di una zona critica?
"E’ il punto in cui il deflusso naturale incontra i canali artificiali della
bonifica: noi la chiamiamo area di cerniera. Inoltre è anche la zona più
densamente urbanizzata, per cui il suolo si è impermeabilizzato rendendo la
sicurezza idraulica più precaria. Sono due criticità che stanno facendo
saltare l’equilibrio idraulico".
Cosa stanno facendo le bonifiche per ristabilire l’equilibrio?
"I consorzi di bonifica, in questi 30 anni, hanno sempre cercato di adeguare
i sistemi di rete e gli impianti alle nuove criticità, ma ormai la
situazione è arrivata quasi a un punto di non ritorno. Per questo abbiamo
bisogno di interventi e politiche più generali da parte di tutti gli enti
che operano sul territorio".
Quali sono gli interventi necessari per evitare disastri?
"In montagna va ripreso con intensità e costanza il lavoro di manutenzione
del territorio, a cui va affiancata una rete idraulica che oggi non c’è. Un
progetto del genere, però, richiede disponibilità economiche e concertazione
di intervento di tutti soggetti".
E in pianura?
"In pianura occorre gestire il territorio con un bacino di scolo unico, che
non si fermi alla realtà amministrativa del comune. Poi si deve intervenire
attraverso uno studio collegiale del territorio portato avanti tra tutti i
soggetti che hanno responsabilità su quell’area (Comune, Provincia, ma anche
Enìa e Unione di Bacino, per esempio).
A cosa serve uno studio collegiale?
"Grazie a questo è possibile una pianificazione urbanistica più rispettosa
del territorio e soprattutto dell’invarianza idraulica, cioè che non venga
modificata lì’attuale rete che permette la sicurezza. Solo a queste
condizioni si può recuperare fattore di equilibrio".
Se le istituzioni non interverranno, cosa potrebbe succedere?
"Continuando a utilizzare il territorio puntando sull’urbanizzazione e
diminuendo l’attività agricola, si riduce la capacità del terreno di
assorbire l’acqua, causando disastri idrogeologici, oltre a diminuire la
biodiversità".