(estratti dalla relazione del presidente Giovanni Tamburini al convegno odierno su "Acque di superficie e modelli di gestione")
SUSSIDIARIETA’ E TASSA DI SCOPO – Il sistema di gestione dei Consorzi, modellato sull’autogoverno da parte dei proprietari contribuenti per lo svolgimento di servizi pubblici, merita approfondimenti più dettagliati per coglierne a fondo le potenzialità e le positività; si tratta di un modello che ha finora confermato validità ed efficacia, configurandosi quale strumento adatto anche alle sfide dell’attualità. In questo sistema, infatti, il potere pubblico – Stato e Regioni – si occupa della programmazione degli interventi, del loro finanziamento e dei controlli, mentre all’autogoverno dei contribuenti viene affidata la realizzazione delle opere, nonché il pagamento degli oneri per l’esercizio e la manutenzione delle stesse. In questo modo non solo si decentrano a livello territoriale le iniziative per la difesa e valorizzazione del suolo, ma si coinvolgono direttamente tutti gli interessati in un’azione di pubblico interesse. Questo coinvolgimento e la responsabilità della gestione dei Consorzi a carico dei privati consorziati costituisce, se applicato correttamente, anche una attuazione puntuale del tanto conclamato principio di sussidiarietà, potendo garantire anche la massima economicità di gestione, dato l’evidente interesse degli amministratori-contribuenti a tenere sotto costante controllo i bilanci dei Consorzi. Un’altra applicazione del principio di sussidiarietà è la promozione di sinergie fra Consorzi ed enti locali, che fra l’altro spesso sono anche importanti contribuenti, in quanto proprietari di aree ed edifici pubblici.
CONTRIBUENZA URBANA – Occorre però lavorare con i contribuenti non agricoli per completare un percorso che è culturale prima che politico. Per oltre 10 anni nella nostra Regione si è dibattuto senza esito su varie ipotesi di riforma dei Consorzi. La riflessione che ci sentiamo di fare a posteriori è che uno dei motivi principali di ciò è che il dibattito era (troppo) incentrato sulla presunta contrapposizione fra interessi agricoli ed extragricoli, non cogliendo che il vero nodo sono le funzioni, non tanto le categorie dei contribuenti. Ci ha aiutato un andamento climatico certamente anomalo a capire che per risolvere i problemi ciascuno deve e può fare la sua parte: il pubblico programmando e curando i finanziamenti per le opere indispensabili al mantenimento del territorio libero dalle acque; i contribuenti garantendo la manutenzione ordinaria del sistema; va da sé che più è larga la platea meno oneri ci sono a carico di ciascuno.
TERRITORIO CHE CAMBIA – Tornando a noi, credo importante sottolineare, in modo che sia chiaro a tutti, che oggi i Consorzi impegnano gran parte delle loro attività e risorse per far fronte alle conseguenze delle urbanizzazioni e quindi al carico di impermeabilizzazioni del terreno che queste si portano dietro. Dal 2000 al 2005 nella provincia di Bologna sono raddoppiate le superfici impermeabilizzate, dal 5,7% all’11,5%, un incremento pari a oltre 200 kmq, un’area grande quanto il Comune di Imola. L’agricoltura, però, continua a gestire l’ 80% almeno del territorio, un territorio che ogni anno però è sempre meno agricolo. Quindi non solo è corretto che in questo sistema anche gli immobili urbani contribuiscano, ma occorre lavorare per accrescere la consapevolezza del perché si paga il contributo di bonifica e con quali finalità. Poi le regole di governance vanno certamente riviste per tener conto delle rappresentanze della nuova contribuenza urbana, ma occorre avere ben presente il ruolo comunque preponderante delle categorie agricole, nelle cui aziende si estendono le migliaia di Km di canali funzionali all’attività di bonifica e indispensabili per tutto il sistema.
CONTRIBUTI REINVESTITI SUL TERRITORIO – La continuità delle disponibilità di risorse economiche è fondamentale per l’efficacia dell’azione. Oggi i 125 milioni di € che raccolgono i Consorzi di Bonifica regionali sono le uniche risorse garantite ogni anno e tutti vengono reinvestiti nel territorio dell’Emilia-Romagna. Così come gli uomini dei Consorzi sono ormai gli unici operatori presenti con continuità 24 ore su 24, in grado di rispondere con prontezza e competenza nei momenti di crisi. Questa è la fotografia di ciò che oggi esiste e i risultati portati da questo sistema in Emilia-Romagna, che si vedono e si possono misurare. Ecco perché riteniamo, con il pragmatismo che ci contraddistingue e privi di alcun vincolo ideologico, che questo esempio di sussidiarietà ed autogoverno abbia mostrato la sua efficacia e possa non solo essere apprezzato, ma anche studiato e valorizzato, partendo proprio dalle esperienze vissute in questa Regione. Riflettiamo sulle difficoltà che hanno i Servizi regionali a garantire la corretta manutenzione dei corsi d’acqua naturali, piccoli e grandi, a causa soprattutto della cronica carenza di risorse finanziarie, sia dal punto di vista quantitativo che da quello della tempestività e continuità dell’erogazione.
LA MONTAGNA – Un’attenzione particolare va prestata a questo tema. Parliamo del territorio posto a sud della via Emilia fino al crinale appenninico. Se la pianura è fragile, quest’area lo è di più. Smottamenti e frane, particolarmente diffusi dopo inverni come questo, complicano gli spostamenti e mettono in crisi le aziende agricole. La legge regionale attualmente in vigore attribuisce ai Consorzi una funzione minimale in queste aree, cui corrisponde di conseguenza una capacità impositiva limitata. Ciò nonostante, di fronte alle continue richieste d’intervento, il nostro Consorzio, come altri in Emilia-Romagna, ha cominciato ad investire direttamente risorse proprie. Lo ha fatto non da solo però, come avrebbe potuto, ma in stretta collaborazione con gli enti territoriali, Comuni e Comunità Montane, in modo da favorire la realizzazione di interventi di rilievo e costosi che altrimenti non riuscivano a trovare una copertura. Credo siano ottimi esempi di collaborazione amministrativa fra enti, finalizzata al risultato, senza indulgere a gelosie e personalismi. Da parte nostra, per l’esperienza maturata sul campo, possiamo dire che un passo avanti possibile è quello di trasferire il reticolo secondario alla competenza dei consorzi…Più complesso è il tema degli interventi nella media collina e in montagna dove l’intervento pubblico è indispensabile. Lì i Consorzi possono senz’altro continuare a svolgere un ruolo di sorveglianza e progettazione a supporto sia dei Comuni che dai privati, ma deve essere chiaro che le risorse non possono venire che in minima parte dalla contribuenza.
GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE – Una riflessione a parte desidero dedicarla alla funzione irrigua svolta dai Consorzi di bonifica. E’ una funzione rilevantissima, indispensabile per la nostra agricoltura, ma, come vedremo, con ricadute importanti per la nostra comunità in generale che si trova a dover fare i conti con il fenomeno della subsidenza e con la cronica difficoltà dei nostri Appennini a garantire tutta l’acqua di superficie necessaria al sistema acquedottistico, specialmente durante il periodo estivo. Per quanto riguarda l’irrigazione, il nostro Consorzio presenta numeri importanti: oltre 60.000 ettari irrigabili, dei quali 7.100 serviti da condotte tubate in pressione, che consentono ad oltre 2.000 aziende agricole di stare sul mercato, producendo prodotti di qualità nei settori orticolo, frutticolo, delle colture industriali e foraggere. E’ grazie alla disponibilità di acqua irrigua che negli anni, solo per fare un esempio, ha potuto svilupparsi e consolidarsi la filiera della patata tipica bolognese, che rappresenta certamente uno dei settori di punta della nostra agricoltura. Fonte principale della risorsa idrica è il fiume Po, attraverso il Canale Emiliano Romagnolo, dal quale viene prelevato il 70-75% dei circa 70 milioni di m³ distribuiti annualmente dal Consorzio. E’ proprio grazie alla propria dotazione di acqua del CER che la Renana ha potuto avere finanziata e realizzata una delle opere idrauliche più significative degli ultimi anni nel bolognese, il famoso “tubone”, che con i suoi oltre 13 km oggi può trasportare acqua da Bentivoglio alle porte di Bologna per poi andare nei prossimi anni a portare acqua, dopo aver attraversato il Reno, nell’alta pianura bolognese compresa fra Reno e Samoggia, oggi irrigabile solo attraverso i pozzi. Grazie a quest’opera, è oggi possibile rifornire l’acquedotto di Bologna con ulteriori 6 milioni di m³ provenienti dal bacino di Suviana, senza limitare le possibilità d irrigare i territori a nord di Bologna serviti da Reno attraverso la Chiusa di Casalecchio. E’ questo il primo risultato del dialogo costruttivo e convinto che da qualche anno si è aperto fra ATO, gestore, consorzio, e amministrazione provinciale avendo come obiettivo quello di ottimizzare l’uso della risorsa e la sua sostenibilità, di limitare i prelievi da falda sia per usi produttivi che civili, di ridurre i consumi e di razionalizzare i costi di gestione e gli investimenti. E’ una sfida nella quale ci sentiamo pienamente coinvolti, convinti che sia possibile, attraverso le sinergie fra i due sistemi idrici – irriguo e acquedottistico -, soddisfare pienamente le esigenze dei settori produttivi agricolo e industriale, del nostro acquedotto e dell’ambiente: in altre parole , promuovere l’uso plurimo della risorsa.