Vincenzi: “siamo orgogliosi di aver contribuito ad alleviare i danni ai territori allagati, ma il cer deve rimanere a servizio dell’agricoltura”
Roma, 13 febbraio 2019 – A dieci giorni dall’esondazione del fiume Reno, il Canale Emiliano Romagnolo, utilizzato eccezionalmente nella fase emergenziale, come scolo alternativo per allontanare, dai territori allagati della Bassa Bolognese, oltre 2 milioni di metri cubi d’acqua in poco meno di 40 ore, registra pesanti conseguenze. L’utilizzo straordinario del Canale sta comportando, infatti, alcune criticità, da cui deriva la sospensione dell’irrigazione, almeno fino alla fine del mese di Marzo, quando sarà presumibilmente completata la pulitura delle acque limacciose. Il Canale C.E.R., infatti, è un’ opera nata per soddisfare finalità legate all’irrigazione di circa 200.000 ettari di territorio e fornisce anche acqua a fini potabili alle società Hera Imola e Romagna Acque, nonchè ad importanti insediamenti industriali. Gli impianti non sono perciò adatti a reggere il funzionamento di bonifica con improvvisi sbalzi di livello idrico, in particolar modo quando sono trasportati terra e detriti. Gli argini “pensili” possono inoltre subire frane anche a distanza di mesi dall’evento, le lastre del rivestimento subiscono erosione e danni permanenti, le pompe sollecitate dai detriti si danneggiano e, soprattutto, la qualità dell’acqua peggiora, non permettendo l’erogazione a fini potabili. I primi sopralluoghi di verifica post-alluvione hanno consentito di accertare che, a seguito dell’evento, i primi 42 chilometri del Canale Emiliano Romagnolo sono ricoperti da uno strato di fango. Le prime stime valutano in oltre 2 milioni di euro, il costo delle complesse operazioni meccaniche di pulizia; si sta anche ipotizzando di procedere a ripetute manovre idrauliche di invaso e svaso di acque via via di miglior qualità, perché meno onerose (circa 300.000 euro) e con maggiori garanzie di “tenuta” degli argini. Il trasporto d’acqua a fini potabili ed industriali verso la Romagna è stato sospeso ed anche l’irrigazione subirà un ritardo nell’avvio, almeno sino alla fine di marzo. Non si escludono inoltre problemi per gli agricoltori, specie per quelli dotati di impianti “a goccia” molto soggetti ad intasamento degli erogatori. Nella situazione emergenziale, seguita all’esondazione del fiume Reno, mediante l’impianto Crevenzosa e complesse operazioni idrauliche, sono stati dirottati a gravità nel fiume Po, tramite il Cavo Napoleonico, oltre 1.600.000 metri cubi d’acqua; le elettropompe dell’impianto di Pieve sono state accese per circa 12 ore, “gettando” nel Canale Emiliano Romagnolo oltre 400.000 metri cubi di acque limacciose. Tale attività ha salvato, da ulteriori danni ed allagamenti, parecchi centri abitati dell’ area alluvionata. “Di quest’azione – commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) – il Consorzio C.E.R. e tutto il nostro mondo è orgoglioso, ma ribadisce una cosa: il Canale Emiliano Romagnolo è un’opera strategica per la fornitura d’acqua di buona qualità all’agricoltura più avanzata d’Italia; fornisce anche risorsa ad uso potabile per gran parte della Romagna e non è quindi possibile immaginarne l’impiego in maniera strutturale a fini di scolo delle acque. Quanto accaduto è inoltre la dimostrazione evidente dei danni anche complementari, causati da un’insufficiente azione di prevenzione idrogeologica pur in una regione attenta come l’Emilia Romagna.”