Roma, 11 febbraio 2019 – “Non si può rifinanziare, grazie ad un impegno politico trasversale da noi sollecitato, la cosiddetta Legge Ravenna, con lo stanziamento di 26 milioni di euro dal 2018 al 2024 per mitigare le conseguenze della subsidenza e contestualmente rischiare di riaccenderne le cause, creando le condizioni per trivellazioni anche nell’Alto Adriatico”: a dichiararlo è Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), aderendo all’invito dei Presidenti dei Consorzi di bonifica rodigini Adige Po e Delta del Po, i cui presidenti, Mauro Visentin e Adriano Tugnolo, dichiarano: “Non vogliamo più alluvioni, non vogliamo più che il territorio si abbassi. Le conseguenze sono state disastrose per il Polesine.” “I territori delle province di Rovigo, Ferrara e del comune di Ravenna – ricorda Giancarlo Mantovani, Direttore dei Consorzi di bonifica polesani – sono stati interessati dallo sfruttamento di giacimenti metaniferi dal 1938 al 1964; l’emungimento di acque metanifere innescò un’accelerazione, nell’abbassamento del suolo, decine di volte superiore ai livelli normali: agli inizi degli anni ‘60 raggiunse punte di 2 metri ed oltre, con una velocità stimabile fra i 10 ed i 25 centimetri all’anno; misure successive hanno dimostrato che l’abbassamento del territorio ha avuto punte massime di oltre 3 metri dal 1950 al 1980. Successivi rilievi effettuati dall’Università di Padova hanno evidenziato un ulteriore abbassamento di 50 centimetri nel periodo 1983-2008 nelle zone interne del Delta del Po.” L’affondamento del Polesine e del Delta Padano ha causato un grave dissesto idraulico e idrogeologico, nonchè ripercussioni sull’economia e la vita sociale dell’area; il sistema di bonifica è attualmente costituito da un numero importante di centrali idrovore, che continuano a garantire l’indispensabile pompaggio per “sollevare” l’acqua verso il mare: 201 nel rodigino, 170 nel ferrarese e 144 impianti nel ravennate. La conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio idraulico fu lo sconvolgimento del sistema di bonifica. Tutti i corsi d’acqua si trovarono in uno stato di piena apparente, perché gli alvei e le sommità arginali si erano abbassate, aumentando la pressione idraulica sulle sponde ed esponendo il territorio a frequenti esondazioni. Gli impianti idrovori cominciarono a funzionare per un numero di ore di gran lunga superiore a quello precedente (addirittura il triplo od il quadruplo), con maggior consumo di energia e conseguente aumento delle spese di esercizio a carico dei Consorzi di bonifica. Si è reso inoltre indispensabile il riordino di tutta la rete scolante così come degli argini a mare. “I territori del delta del fiume Po – concludono all’unisono i Presidenti di ANBI e dei Consorzi di bonifica polesani – da oltre mezzo secolo stanno subendo le conseguenze di una scelta sbagliata; il Polesine ha già dato e le conseguenze sono note a tutti.”