FRANCESCO VINCENZI, Presidente ANBI “SE I COSTI DELLA DEPURAZIONE SONO IN TARIFFA PERCHE’ A PAGARE DEVE ESSERE L’AGRICOLTURA PER PRODURRE CIBO SANO? GLI INTERESSI ECONOMICI METTONO A RISCHIO SALUBRITA’ ALIMENTARE ED AMBIENTALE”
Roma, 17 dicembre 2024 – “La bozza di Decreto del Presidente della Repubblica sul Regolamento per il riutilizzo delle acque reflue affinate, predisposta dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, introduce elementi ostativi all’uso da parte dei Consorzi di bonifica”: a scriverlo è il Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), Francesco Vincenzi, che prosegue: “Le osservazioni, portate attraverso il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria all’attenzione del tavolo tecnico del M.A.S.E., sono state discusse ed in parte accolte. Ciononostante, la versione del D.P.R., uscita dalla consultazione pubblica ed ora giacente presso il Ministero in attesa di approvazione definitiva, contiene elementi, che possono essere ragione di aggravamento economico per i comparti agricoli e per la gestione dei territori, operata dai Consorzi di bonifica, nonchè una possibile causa di scontro con i gestori degli impianti di trattamento e con il Servizio Idrico Integrato. Per questo, ANBI chiede che il Ministro, Pichetto Fratin, apra urgentemente un’ulteriore fase di concertazione, coinvolgendo non solo gli enti regolatori (Arera), istituti ed istituzioni governative, ma anche i principali portatori di interesse, gli enti intermedi ed il mondo produttivo.”
Offrendo collaborazione e supporto tecnico, ANBI, che ha già espresso preoccupazione in sede comunitaria tramite Irrigants d’Europe, sollecita anche un’azione dell’unione di rappresentanza agricola COPA-COGECA nei confronti della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, dove il testo del D.P.R. è giunto per una valutazione e per ricevere osservazioni.
Suscita particolare preoccupazione che la proposta di normativa sancisca che l’acqua affinata per uso irriguo è conferita dal gestore dell’impianto di depurazione al gestore della distribuzione irrigua senza oneri aggiuntivi a carico di quest’ultimo, a meno che non siano necessari ulteriori costi di trattamento ed investimento; considerando che la proposta di D.P.R. considera “de facto” già idonee al riuso le acque attualmente trattate, conseguentemente quanto derivante dall’analisi del rischio e dall’applicazione del criterio “adatto allo scopo” potrebbe essere posto a carico dal gestore della distribuzione irrigua come i Consorzi di bonifica. Ciò è però in contrasto con il punto focale del Regolamento Europeo, che stabilisce che le acque reflue debbano essere adeguate a garantire le caratteristiche qualitative necessarie all’utilizzatore fin dalla fine del processo di depurazione.
Va sottolineato come larga parte dei trattamenti extra, che potrebbero essere richiesti dal comparto agricolo, sarebbero per altro soddisfatti già con l’applicazione della Direttiva sul trattamento delle acque urbane, licenziata il 16 Ottobre scorso dal Consiglio Europeo con obbligo d’adeguamento entro il 2035; ciò significa che gli extra costi per l’affinamento, che il D.P.R. imporrebbe ai Consorzi di bonifica, assicurerebbero una copertura finanziaria ai gestori degli impianti di depurazione per l’adeguamento alla Direttiva, caricandone i costi sugli utenti agricoli con inevitabili riflessi distorsivi sulla competitività di mercato e sulla permanenza di imprese rurali in aree idricamente svantaggiate.
È intollerabile che i costi della depurazione di un’acqua idonea a produrre cibo sano possano essere scaricati sui Consorzi di bonifica, che hanno come obbiettivo solo i costi di gestione in pareggio, invece che sopportati da aziende con grandi utili e che per tale servizio già impongono una tariffa. Per questo chiediamo che venga certificata l’idoneità dell’acqua depurata, che utilizzeremo. Il rischio altrimenti – indica Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – è che, a fronte di un aggravio finanziario ed alla parallela necessità di disporre di un adeguato approvvigionamento idrico, l’equilibrio possa essere trovato nel minimizzare la richiesta qualitativa della risorsa da parte del comparto produttivo primario, sfruttando al massimo le tolleranze e le incertezze in merito ai fattori di rischio. Ancora una volta i produttori agricoli sarebbero costretti a ricercare un compromesso tra la tutela del capitale agrario, la salute dell’agroecosistema e la necessità di accedere a fattori primari di produzione, come l’acqua, gravati da un incremento dei costi. È evidente – conclude il DG di ANBI – che l’impatto potrebbe essere molto negativo specie per quei settori caratterizzati dal rapido trasporto dei contaminanti lungo la catena alimentare, quali le carni ed i latticini.”
Inoltre la bozza di D.P.R. individua come centrali il ruolo e la responsabilità dei Consorzi di bonifica nel quadro del “sistema di riuso”, dovendosi fare carico del monitoraggio delle acque distribuite ed eventualmente della predisposizione di strumenti aggiuntivi (lagunaggi, aree umide, etc.), al fine di incrementare la qualità delle acque affinate prodotte dal Servizio Idrico Integrato; non solo: le reti di adduzione e distribuzione di acque affinate diventano componenti del sistema di riuso. Questo comporterà, nel migliore dei casi, la predisposizione di sistemi di misura della qualità delle acque veicolate e di un piano di monitoraggio con il pressoché inevitabile contenzioso sul posizionamento dei punti di campionamento.
I Consorzi di bonifica saranno inoltre gravati dall’obbligo di trasmissione dei dati alle autorità regionali e/o ad altre autorità competenti nazionali ed europee, nonchè della segnalazione di non conformità rispetto ai parametri definiti nel permesso di riutilizzo.
A ciò si aggiunge che modifiche proposte nella Direttiva Quadro Acque vorrebbero porre il riuso delle risorse idriche tra i compiti esclusivi del Servizio Idrico Integrato, confondendo la produzione delle acque affinate con la loro distribuzione in ambito agricolo, competenza in capo ai Consorzi di bonifica.
Ulteriore tema sul tappeto è l’apporto di nutrienti come l’azoto, presente nelle acque reflue: l’impatto sarebbe rilevante soprattutto sui settori già gravati da obblighi di gestione del contenuto di azotati nei liquami di stalla o nei fertilizzanti organici destinati alla concimazione. In particolare, sarebbe penalizzato quel settore zootecnico che, ottemperando ai nuovi obblighi di legge, ha investito in ricerca e tecnologia soprattutto nelle zone classificate come vulnerabili ai nitrati, cioè larga parte delle più importanti aree di allevamento, dove nasce un grande numero di prodotti di eccellenza ed IGP. Il risultato sarebbe certamente un aggravio dei costi di gestione e probabilmente una riduzione della quantità di fertilizzante organico di origine animale distribuibile per ettaro; dove le produzioni sono assoggettate a certificazioni di qualità o HACCP, il rispetto delle norme cogenti è infatti un requisito chiave, pena il rischio di rigetto delle partite da parte di intermediari ed acquirenti.