L’emergenza idrica dell’estate 2003 ha messo in risalto il ruolo essenziale dei Consorzi di bonifica in Emilia Romagna che, pur in presenza di una magra storica del fiume Po, hanno distribuito circa 1 miliardo 300 milioni di metri cubi di acqua, di cui 1.150.000.000 dal Po (+32% rispetto all’anno medio) e 150 milioni dai fiumi appenninici (-38% sull’anno medio). Volumi record, mai raggiunti prima, cui è corrisposto un impegno eccezionale dei Consorzi, che hanno dovuto sopportare costi energetici di un milione e mezzo di euro superiori alla media annuale.
Lo ha detto Emilio Bertolini, presidente dell’Unione Bonifiche Emilia Romagna, che parteciperà domani al convegno internazionale Anbi-Fao “I campi hanno sete” presso la sede Fao a Roma. In Emilia Romagna si sono verificate due situazioni produttive differenziate: i comprensori gravitanti nell’area irrigua del Po non hanno subito grossi condizionamenti dal clima siccitoso; mentre nell’area compresa tra la via Emilia e la pedecollina, che dipende dalle derivazioni appenniniche, la siccità ha drasticamente abbattuto la capacità produttiva che può nell’insieme quantificarsi nel 30-35% in meno della PLV, con punte del 50% in meno per la foraggicoltura da prato stabile, mais e barbabietole.
Per quanto attiene l’area romagnola, questa risente “storicamente” dell’incompiuta realizzazione del sistema di distribuzione delle acque del CER. Di conseguenza anche qui si è avuta una differenziazione tra comprensori irrigui e comprensori seccagni, in cui la PLV si attesta oltre – 50% rispetto alla norma, con alcune produzioni frutticole colpite fino al 60%.
“Complessivamente – conclude Bertolini – si può dire che il sistema irriguo consortile ha risposto adeguatamente all’emergenza siccità attraverso una capacità distributiva di volumi record d’acqua, nonché, per la prima volta, mettendo in atto e gestendolo efficacemente un modello di interconnessione fra più sistemi distributivi (Cer su Ferrara, Boretto all’interno del proprio comprensorio irriguo) che hanno permesso la sostanziale salvaguardia della capacità produttiva di tutte le aree servite. Resta comunque confermata l’estrema fragilità e vulnerabilità del nostro sistema irriguo, sempre più Po-dipendente. Insomma non pare pensabile affrontare una nuova emergenza siccità con i metodi e gli strumenti adottati per questa campagna. L’utilizzo infatti dei bacini idroelettrici alpini, pur avendo aiutato il Po a superare un momento di criticità assoluta, non può considerarsi la soluzione al problema”.
Così come la Regione ha affrontato l’emergenza idraulica con la scelta di una politica di messa in sicurezza del territorio, promuovendo ed attuando un piano di interventi strutturali, così ora – dice Bertolini – bisogna fare per affrontare il post-emergenza siccità.
Tre le linee d’azione:
 una politica di risparmio e corretta gestione delle acque riutilizzando anche ai fini irrigui le acque reflue
 una politica di ammodernamento e sviluppo delle infrastrutture irrigue la cui età media ora è superiore ai trent’anni per consentire una distribuzione più razionale e meno dispersiva
 riorganizzare il sistema di prelievo dell’acqua promuovendo il rilancio di una politica di invasi collinari e montani in grado di sviluppare un sistema di stoccaggio che attenui, se non annulli, i prossimi stati d’emergenza siccitosa.

Infine è opportuno che il post-emergenza siccità trovi nelle Autorità di Bacino coinvolte ( da quella del Po alle regionali ) un seguito per la definizione di un piano irruguo. Per l’Autorità di bacino del Po la “cabina di regia“ che ha governato l’emergenza potrebbe continuare la sua azione impegnandosi appunto alla definizione di un piano irriguo che permetta all’insieme del bacino padano non fare più drammaticamente i conti con uno stato d’emergenza come quello vissuto la scorsa estate.