Aprendo i lavori della tavola rotonda organizzata dal Canale Emiliano Romagnolo e dal Consorzio di bonifica di Rimini alla Fiera di Rimini su “Quale acqua per il nostro futuro. La crisi dell’estate 2003 in Emilia-romagna e la risposta della bonifica”, il prof. Enrico Giuliano Santini, presidente del CER e del Consorzio riminese, ha tracciato un quadro dell’emergenza siccità nell’estate 2003 e delle prospettive future.
La crisi del Po nell’estate 2003
L’estate 2003 ha fatto registrare, per il fiume Po, una crisi idrica senza precedenti nella storia. A partire dall’inizio del mese di giugno scorso le quote d‘acqua fluviali all’aspirazione dell’impianto di sollevamento “Palantone” di Bondeno, cardine dell’intero sistema idrico del Canale Emiliano Romagnolo, si sono mantenute stabilmente, per circa 3 mesi, al di sotto dei 4 metri sul livello del mare, che già rappresentava per la stazione una sorta di “allarme rosso”. Ai primi di luglio veniva infranto il precedente primato negativo di 3,38 metri. A metà di luglio l’idrometro varcava verso il basso la soglia (prima ritenuta “apocalittica”) dei 3 metri, facendo segnare il giorno 20 luglio 2003 il nuovo primato negativo assoluto: 2,91 metri, inferiore di 20 cm alla quota minima di funzionamento delle pompe della più recente generazione, installate all’inizio degli anni ’80.
A questo livello idrometrico assolutamente abnorme ha fatto riscontro un valore di portata in Po altrettanto clamoroso: appena 250 metri cubi/secondo. Per trovare valori paragonabili a questo occorre risalire agli anni ’40 del secolo scorso, e precisamente al triennio 1943-45 e al 1949, anni che vedevano il Paese preso da ben altri problemi, prima i disastrosi eventi bellici e poi la ricostruzione.
Va detto che la gravità della crisi dell’estate 2003 si lega all’effetto combinato di due distinte circostanze:
– la scarsità degli apporti meteorici e quindi delle portate, che ha prodotto la scarsità delle fluenze ampiamente divulgata dagli organi di stampa e culminata nel primato negativo dei 250 metri cubi/secondo;
– l’abbassamento dell’alveo del Po rispetto al territorio circostante, fenomeno viceversa sconosciuto ai non addetti ai lavori e inspiegabilmente ignorato dall’apparato mediatico
I danni prodotti da quest’ultimo fenomeno – in atto da più di 30 anni e responsabile di un calo complessivo di circa un metro e mezzo nel tratto fluviale in cui sorge la stazione Palantone – sono facilmente immaginabili e tendono a mettere progressivamente fuori servizio gli impianti di pompaggio che, viceversa, restano fissi.
La risposta del sistema CER
In un quadro ambientale severissimo e prolungato, che ha messo a dura prova le risorse delle macchine e quelle degli uomini, l’impianto Palantone ha retto alla crisi in modo lusinghiero e superiore ad ogni più ottimistica previsione. All’eccezionale evento idrometrico, dunque, ha fatto riscontro uno sforzo, altrettanto straordinario, degli impianti e del personale del Consorzio di secondo grado, che è valso non solo a soddisfare l’intera richiesta idrica proveniente dal sistema CER, ma anche ad assicurare buona parte del fabbisogno irriguo della provincia di Ferrara per la parte normalmente approvvigionata dall’impianto “Pilastresi”, in crisi praticamente ininterrotta dal 12 giugno al 20 agosto. Il volume sollevato dall’impianto Palantone nel corso dell’anno 2003 ha superato a fine stagione i 300 milioni di metri cubi, record storico.
Così, ai primati “negativi” della crisi possiamo contrapporre i primati, eccezionali in positivo, del funzionamento del sistema CER, messi a confronto nel prospetto che segue con i valori di un anno medio come quello precedente (2002).
I numeri della ‘risposta’
Po, stazione “Palantone” – Bondeno 2003 2002 incremento 2003/2002
Volumi derivati dal Po 310 milioni m3 (*) 177 milioni m3 133 milioni m3 + 76%
Energia elettrica per sollevamento 15.153 MWh 9.924 MWh 5.229 MWh + 53%
(*) di cui 38 destinati ad altro comprensorio (consorzi di bonifica della provincia di Ferrara)
Le necessità e le prospettive
Il successo faticosamente e duramente conseguito non deve illuderci – al di là della legittima soddisfazione – che il sistema delle opere di bonifica sia perfetto, e tanto meno può consentirci di dormire sugli allori. Al contrario, la lezione da trarre dall’esperienza appena trascorsa (grazie al cielo, e per questa volta, vincente) è la necessità di mettere in campo un nuovo impegno, nuove idee e nuove risorse per affrontare con maggiore tranquillità i futuri bracci di ferro con la natura, in occasione delle crisi forse ancora più severe che inevitabilmente si presenteranno.
È ovvio che il primo impegno della bonifica deve essere rivolto ad assecondare e sostenere lo sforzo che il governo regionale sta profondendo verso il risparmio idrico, il riuso dell’acqua, e in generale la più razionale gestione della risorsa.
Non possiamo però dimenticarci di due forti necessità, che l’ultima emergenza ha drammaticamente sottolineato:
1) adeguare le nostre opere al degrado climatico e ambientale che ci ha già colpito;
2) proseguire lo sforzo – in verità già avviato, grazie anche alla nuova sensibilità dimostrata dal governo nazionale a partire dalla legge finanziaria 2001 – per una vera distribuzione della risorsa acqua nel territorio.
In questo senso, il Consorzio CER ha recentemente presentato al Ministero delle politiche agricole e forestali, a nome dell’intera compagine dei consorzi associati, dal Panaro alla costa, un vasto programma di interventi per complessivi 600 milioni di euro.
La prossima legge finanziaria (che nel testo già licenziato dal Consiglio dei Ministri prevede uno stanziamento di circa 1 miliardo di euro per opere del patrimonio idrico nazionale) rappresenta un primo, importante appuntamento, al quale il sistema CER e l’intera bonifica emiliano-romagnola si presentano con una ricchissima dotazione di idee e di progettualità