Arriva dall’Emilia Romagna l’ennesima conferma dell’andamento ormai “torrentizio”, assunto dalle portate del fiume Po, conseguenza del cambiamento climatico: il susseguirsi dei periodi di magra (invernale ed estiva) sta provocando l’insabbiamento degli impianti idrovori di Boretto, nel reggiano.
Roma, 8 febbraio 2022 – Complici il drastico calo di portata del Grande Fiume e la scarsa piovosità di quest’anno, sta riemergendo un imponente quantità di detriti, costringendo il Consorzio di bonifica dell’Emilia Centrale ad una lotta contro il tempo per liberare l’area prima dell’avvio definitivo dei prelievi irrigui a servizio delle aree agricole delle province di Reggio Emilia, Modena e di parte del Mantovano. Anno dopo anno, il problema ha ormai assunto caratteri endemici, causando disagi ed aggravio dei costi. Il tutto è stato ripetutamente segnalato agli organi idraulici competenti ma, in attesa del loro intervento, il locale ente consortile è costretto a provvedere autonomamente per la rimodellazione di un tratto anche dell’alveo del Canale Derivatore.
“Quanto sta accadendo lungo il fiume Po è la testimonianza di un Paese in costante ritardo di fronte ad un’emergenza climatica dai caratteri sempre più evidenti, come sta dimostrando anche l’attuale siccità fuori stagione. È necessaria un’assunzione di responsabilità collettiva altrimenti anche la straordinaria opportunità del Recovery Plan diverrà un’occasione sprecata” ammonisce Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).
L’intervento in atto a Boretto Po consiste nella rimozione dei materiali sedimentati in alveo ed il cui volume da asportare è stimato in 16.000 metri cubi.
“Quello della manutenzione dal progressivo interrimento è un problema, che interessa tutti i corpi idrici. Basti pensare – conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – che il nostro Piano di Efficientamento della Rete Idraulica del Paese prevede l’asporto di oltre 72 milioni di metri cubi da 90 bacini, aumentando così di circa il 10% la loro capacità; il costo stimato è di quasi 291 milioni di euro, capaci però di attivare circa 1450 posti di lavoro. Come continuiamo a ripetere: serve un grande Piano di Manutenzione del Territorio ed ogni giorno, che passa, complice l’irrefrenabile consumo di suolo, ci espone ai crescenti rischi dell’estremizzazione degli eventi atmosferici.”